Follie di branco

Il branco è una piccola comunità, che ha un suo statuto, le sue personali leggi interne, e ha un unico cuore che batte, che non è dato dalla somma dei cuori che lo compongono, ma da quegli stessi cuori trasformati dal senso della collettività, che li porta ad essere il totale più qualcosa.
Quindi ciò che noi vediamo nel singolo componente del gruppo a livello di empatia, comunicazione e ruolo, è ciò che ritroviamo trasformato quando quel cane è immerso nella sua realtà di gruppo.
Il gruppo è una forza, una grande risorsa, una fusione di anime.
E al di là del fatto ce i cani ricercano sempre un ruolo, più volte mi è capitato di vedere in realtà acquisire ruoli diversi a seconda della situazione e tirare fuori doti che fino a quel momento erano a me sconosciute. Quello che ho imparato negli anni di gestione dei branchi è che al di là del ruolo di guida e della leadership, che dobbiamo acquisire sin da subito, abbiamo necessità di creare un rapporto unico e personale con ogni singolo individuo, affrontando un percorso di coppia e di crescita dove impariamo a conoscerci e sentirci al di fuori delle realtà collettive.

Quando la piccola Panthera (rottweiler di due mesi) arrivò nella nostra casa, era chiusa e diffidente. La presenza del branco composto da una Fila Brasileiro, tre Rottweiler femmine adulte, una Golden Retriever e una Cavalier King (il mondo è delle femmine!) è stata sicuramente una grande chiave di apertura, poiché riuscì ad appoggiarsi emotivamente alle due giovani giullari, Valkiria e Jolanda, che proponevano giochi e scorribande e poi agli altri membri del gruppo, più seri e competenti ma anche più solidi emozionalmente.
Mi sembrava che nel branco avesse preso enormi sicurezze, era come vedere un fiore che si schiudeva poco a poco, regalando al mondo il suo universo di colori. Ora riusciva ad affrontare le persone con rinnovata fiducia.
Quando arrivavano nuovi cani da incontrare, era una delle prime che si dirigeva in modo grottesco e bullo a fare una accoglienza a dir poco mafiosa.

Ma poi mi accorsi che senza il branco lei non aveva personalità individuale, non aveva basi solide a cui appellarsi da sola, e soprattutto, non riusciva ad appoggiarsi completamente a me, se eravamo io e lei sole ad affrontare il mondo, vedevo questo fiore appassire e non essere più in grado di guardare con gli stessi occhi le cose che assieme al branco erano considerate normali. Per molti cani è più facile dipendere emozionalmente da altri conspecifici perché la loro comunicazione non ha bisogno per così dire di un traduttore.
Io ero solo una in più.

I miei tanti impegni lavorativi di quel periodo mi avevano frenato dal dedicare tempo personale a questa creatura per aiutarla a costruire se stessa, non come specchio degli altri o come appendice, ma come individuo, come anima che si autosostiene e che può avere le risorse interne per affrontare gli scacchi della vita. Il lavoro dei mesi successivi fu di portarla con me da sola, per rinforzare la fiducia e sostenere quel bocciolo che ogni volta implodeva dentro se stesso e cadeva nel baratro, fino a quando la fiducia e l’autostima hanno avuto la meglio.
Ho compreso che lei nel branco aveva trovato la sua dimensione con un ruolo preciso, ma senza quello era persa in un deserto di emozioni negative.
Prima devi essere cane, con tutte le competenze possibili, poi quel tuo essere cane viene inserito in un contesto di gruppo.
Una meravigliosa lezione di vita!

Naturalmente nel branco, anche se unito, non mancano piccoli screzi, relativi ai caratteri, ai ruoli, alle piccole competizioni, alle contese affettive.
Tutto questo fa parte della vita di gruppo, come in una famiglia. Mantenere l’ordine significa lasciare libertà di espressione dove questa non lede la libertà e il rispetto altrui.
Dico i no come li direbbe una madre, perché con branchi di sette cani le regole devono essere chiare e coerenti, e i membri devono conoscerle e rispettarle.
Questo non significa essere immersi in un regime di monarchia, ma semplicemente far parte di una grande famiglia dove la pace si mantiene se l’osservanza delle regole è piuttosto rigorosa. Questo è il segreto.

Che i cani siano liberi di esprimersi è corretto fino a quando questa libertà non produce danni ad altri membri o alla comunità.
La mia fila brasileiro, per la sua genetica, non gradiva estranei di nessun tipo a casa, se avessi permesso al sua libera espressione avrei dovuto scavare una fossa comune vicino a casa; 
le regole sono fondamentali e chiare: tu mi avvisi dicendomi – traduco testualmente – “mamma, c’è un pazzo che vuole entrare in casa, lo sbrano?”, ma il tuo lavoro, cara Fufi, finisce lì: io accolgo le persone, tu borbotti e brontoli e non sbrani nessuno.

A volte ci sono periodi di maggiore nervosismo del branco, causati dai calori o dalle gravidanze isteriche (stiamo pur sempre parlando di femmine, eh!), quindi è normale che io debba fermare dei comportamenti sbagliati o non consoni con le regole del nostro gruppo. È importantissimo che io rimanga sempre stabile emozionalmente, compatta e forte. Questo non è sempre facile ma se si vuole mantenere l’armonia è un passaggio necessario. L’altra faccia della medaglia sta nel diventare cane, nella capacità di elevare la propria anima cancellando quell’ego che ci porta a vederci come i detentori assoluti della verità.

Crediamo di essere buoni maestri perché abbiamo cani educati che ci ascoltano? Se umilmente divenissimo canne di bambù, vuote emozionalmente, potremmo riempire tutte queste voragini con i loro insegnamenti, perché a vivere, loro, sono davvero maestri.
Il concetto del vivere il momento presente per loro è la normalità, per noi un incredibile sforzo che si giostra e oscilla tra il rimpianto passato e l’agognato futuro
Prendere le cose come vengono, accettandole senza combatterle è una delle grandi lezioni di vita.
Sanno spiegare e farsi capire senza giri di parole, non sono capaci di mentire, si esprimono secondo modelli comportamentali chiari, non fraintendibili. E noi accanto a loro viviamo ogni giorno un esempio di spontaneità, purezza d’animo e serenità, e il più delle volte nemmeno ce ne accorgiamo.

E la condivisione? Chi meglio di loro ce la insegna?
Tempo fa una allevatrice mi insultò perché le mie cucciolate, a parte i primi quindici giorni di pertinenza materna, crescono con modelli comportamentali differenti dati dai diversi ruoli che i miei cani assumono nei confronti dei cuccioli. È ovvio che è sempre la madre a decidere, ma chi non vorrebbe farsi aiutare dalle balie quando i cuccioli mettono i dentini e si trasformano in sanguisughe?
Ed ecco che ogni membro, non appena la madre firma la delega, assume un ruolo preciso nei confronti dei nuovi arrivati.

Per Fufi, la fila brasileiro, gli uteri altrui sono uteri in affitto, poiché tutti i momenti di allontanamento della madre sono pretesti per occuparsi dei cuccioli con accudimento e insegnamenti. Orsa, la rott più anziana, ama molto occuparsi della pulizia della tana e dei piccoli, soprattutto quando la madre è stanca e ha bisogno di “un cambio”.
Jolanda, la cavalier King, è per così dire l’animatrice turistica per il primo mese di vita, entra in cassa parto e gioca allo sfinimento… poi i cuccioli crescono e fanno il tira e molla con le sue orecchie e lei si licenzia seduta stante.
Insomma, se non è questo un esempio di vita e meravigliosa condivisione!

Se tutto questo noi lo potessimo applicare alla nostra vita, avremmo in mano il segreto per la felicità, imparando a vivere ogni momento come tale, liberi da ogni forma di inquinamento. Questo è ciò che rende l’uomo libero. Non è possibile lavarsi via la sofferenza, ma è possibile ritagliarsi all’interno dell’anima un’isola di pace circondata da mari profondi, che sia irraggiungibile al dolore.
Quell’arcipelago di felicità per me è rappresentato dal branco.
Al loro fianco il tempo si ferma, diviene un’entità senza forma, rimangono solo gli sguardi, i respiri, la loro vita in funziona della nostra. E la nostra in funzione della loro.

La loro vita che diviene parte inscindibile della nostra anima, un pezzo di noi. La nostra parte animale che si rispecchia in loro.

Quella parte che abbiamo vergogna a mostrare, quella zona della mente priva di razionalità che ci fa essere un po’ bestie e senza la quale saremmo macchine programmate per lavorare.
Perché ci sentiamo tanto naturali al loro fianco? Perché le nostre nature, apparentemente tanto diverse, trovano un punto d’incontro.
Due binari paralleli che ogni tanto si scambiano sensazioni.
È una parte crepuscolare che viene a galla, quella sfaccettatura istintiva che abbiamo paura di mostrare ma che c’è, indelebile, in ognuno di noi.

Un cane non giudica.
Con un cane non devi necessariamente parlare.
Non devi necessariamente giustificare.
Devi solo essere.

Cristina Pederzani

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